Il World Economic Forum ormai lo ripete da qualche anno: il 65% dei bambini oggi a scuola farà un lavoro che ancora non esiste.

Secondo il Future of Jobs Report del WEF inoltre, i progressi tecnologici porteranno il 50% di tutti i dipendenti a riqualificarsi entro il 2025.

Ma quali sono le competenze più richieste e come iniziare il proprio percorso di reskilling?

Ne abbiamo parlato nella nostra ultima room Clubhouse con un panel di esperti del settore. Ecco i sei concetti che chiunque voglia iniziare un percorso di riqualificazione professionale dovrebbe tenere a mente:

1. Mindset: vince chi impara

Secondo Antonio Monizzi, Marketing Coach, per poter vincere, prima di fare, occorre «filosofare»: bisogna andare in cerca di meraviglia, ovvero dello stupore che si manifesta nell’osservare le cose da prospettive diverse. Il dubbio deve essere la nostra bussola e l’esercizio da fare è sostituire i punti esclamativi con interrogativi.

Da «si fa così!» a «si fa così?»
Da «si è sempre fatto così!» a «si è sempre fatto così?»
Da «lo so!» a «lo so? Davvero lo so?»

Un piccolo passo per abbandonare le nostre certezze incrollabili a favore di nuove convinzioni più flessibili e adatte al percorso di reskilling che si desidera intraprendere.

2. Tecnologia: abbracciamola senza rincorrerla

“I cambiamenti sono spesso dovuti al tempo, alle tecnologie e alle situazioni che ci circondano“, prosegue Filippo Giustini, Strategic Designer e Fondatore di Marketing Toys.

Non bisogna quindi rincorrere i cambiamenti, ma abbracciarli, e imparare a sfruttare a nostro favore l’innovazione  e tutto ciò che ci permette di migliorare il nostro lavoro, organizzandolo al meglio, a partire dalla gestione del tempo.

3. Re-soft-skilling: partire da se stessi

“È necessario partire da noi stessi, dai nostri orientamenti e dal conoscersi. Diversamente da come succedeva in passato, oggi si dà ampio spazio alle persone e al loro benessere. In più, lo sviluppo tecnologico, ha permesso la creazione di nuove figure e nuovi job title che possano esaltare le nostre peculiarità e la nostra indole. Durante questo processo, sarebbe meglio essere affiancati da una persona che sappia guidare per capire se si sta andando nella direzione giusta”, spiega Massimiliano Linguiti.

È così che lui stesso, ingegnere di formazione, è diventato ciò che è oggi: formatore, coach e specialista in innovazione professionale.

“Ho capito cosa vuole dire amare quello che fai, non arrivare al venerdì come un traguardo”, aggiunge.

I due errori che, secondo lui, sarebbero da evitare?

· Inseguire quel che si pensa che possa essere un lavoro sicuro per il futuro: le difficoltà esistono in ogni mestiere, quindi, meglio seguire la strada del cuore.

· Cambiare lavoro e sperare di poter fare ciò che si sogna senza avere idea di cosa comporta il “lavoro dei sogni”. Ci sono studi o modelli che permettono di analizzare il percorso da intraprendere, i pro e i contro e tutte le abilità necessarie per ricoprire un determinato ruolo.

Roberta Bet, Senior Executive Consultant, conferma la necessità del reskilling personale o del riadattamento a prescindere dalla situazione in cui ci troviamo. Nel panorama HR, le aziende, ormai, sono solite investire nella formazione, quindi nell’acquisizione di competenze tecniche. Nel gergo tecnico, si parla di reskilling per nuove abilità tecniche o upskilling per potenziare conoscenze già acquisite.

Alla ricerca di nuovi candidati, le aziende cercano maggiormente determinate abilità trasversali nei candidati executive perché sono le più difficili da acquisire attraverso formazioni.

In questo periodo spiccano poi la capacità di adattamento allo smart working – perché non tutti sono adatti a questo modo di gestire il lavoro in modo remoto – la flessibilità al cambiamento, la proattività e la gestione delle mansioni e del personale.

4. Intelligenza emotiva: la soft skill del life long learning

Carl Gustav Jung diceva “io non sono ciò che mi è capitato d’essere. Io sono ciò che ho scelto di diventare.”

Il cambiamento è diventato uno stato d’essere e l’intelligenza emotiva può aiutarci a somatizzare tutto ciò che avviene attorno a noi, a gestire l’ansia e ad accettare il cambiamento. L’intelligenza emotiva è una risorsa, una forza che ci consente di passare dalla paura al coraggio e che quindi è fondamentale quando si attraversa una fase di reskilling.

Un esempio diretto è quello che riguarda la dottoressa Maria Vittoria De Girolamo più da vicino, ossia il settore sanitario, dove i professionisti hanno saputo trovare forza ad agire e a reagire anche davanti a una pandemia di livello globale, pur non sapendo a cosa si andava incontro.

5. Flessibilità: per non adeguarci alla resistenza

Uno degli elementi che può aiutare la trasformazione è lavorare sulle convinzioni limitanti che ci fanno da paraocchi. È importante  infatti tenere la mente allenata a cambiare prospettiva, così da poter avere una visione d’insieme.

Paola Tosi, Professional Coach ICF condivide due strategie concrete per essere partecipi alla riorganizzazione e acquisire nuove competenze:

  • Porsi delle piccole sfide quotidiane per mettere in discussione le nostre convinzioni, le nostre abitudini confortevoli. Si può partire dalle piccole abitudini, come cambiare alimentazione, percorrere itinerari alternativi, così da abituare la mente al vedere e osservare le situazioni da diverse prospettive.

 

  • L’atteggiamento che può aiutare il reskilling è la curiosità, avere voglia di apprendere, di migliorarsi, di relazionarsi e di confrontarsi con persone diverse per trovare metodologie nuove e implementarle. Un interessante esercizio è quello di far cambiare ruolo all’interno della stessa azienda, perché rimanendo negli stessi incarichi rischiamo di fossilizzarci sempre sullo stesso approccio.

6. Cambiamento: saper cambiare quando serve

Roberta Bet ricorda che serve il cambiamento in base al contesto, non è detto sia sempre positivo, obbligatorio o produttivo.

È doveroso, però, saper cambiare quando serve con resilienza e flessibilità per adattarsi alla nuova situazione.
In questo periodo di pandemia ha sicuramente vinto la prudenza, non al cambiamento in sé, ma all’incertezza del futuro e i candidati si sono dimostrati meno inclini al cambiamento dell’attività, al ruolo o al posto di lavoro.

Vincenzo Rutigliano, Digital Strategist, propone infine un approccio al cambiamento meno traumatizzante, ovvero quello di estendere la propria comfort zone, anziché uscirne: iniziare col cimentarsi con nuove attività, con serenità e, man mano che ci si accorge di aver acquisito il know-how, valutare quale sia il prossimo passo. Un ambito dove il cambiamento “progressivo” è di casa è per esempio il growth hacking, dove oltre alle competenze specifiche, con il tempo se ne acquisiscono molte altre correlate che, messe insieme, permettono di avere una visione d’insieme più completa e di individuare metodi più efficaci per far crescere un’attività.

Sophie De Cock e Antonella Laurino


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