La rubrica ” Sorellanza” a cura di Alessandra Quaranta, presenta un format di interviste rivolto a professioniste attive nella divulgazione e sensibilizzazione di tematiche inerenti alla parità di genere e all’empowerment femminile, che quotidianamente si impegnano nel far rete e creare una “sorellanza” per progetti di crescita comuni in chiave femminile.

Per il suo essere di ispirazione, la sua “visionaria intraprendenza” e multipotenzialità, sono orgogliosa di aver coinvolto nel mio format – intervista, l’ ex HR manager, imprenditrice founder di Linkbeat e attivista Francesca Parviero.

Francesca Parviero, CEO di Linkbeat Società Benefit & People Experience Designer, lavora sui temi del futuro del lavoro, del growth mindset e del people empowerment. Esperta di strategie digitali per la valorizzazione del capitale umano, progetta e realizza percorsi di upskilling digitale sui temi del Personal Branding e del Life Design. Coach certificata nella metodologia Designing Your Work Life (Stanford), ha curato l’edizione italiana del libro Design Your Life per Rizzoli. Attivista femminista, ha ideato e realizzato il percorso WE FOR ME – Design Your Personal Branding Journey ed è la strategic advisor del progetto di brand activism ACT4Change per Danone Activia. Prima di intraprendere la sua carriera imprenditoriale, è stata manager nell’ambito delle risorse umane. Nel 2012 è diventata la prima LinkedIn Talent Solutions Partner italiana. Docente di master e corsi universitari, speaker e autrice di numerose pubblicazioni.

HR Manager, autrice, attivista di tematiche femministe, mamma, donna. Chi è Francesca?

Recentemente ho visto Top Gun Maverick, e ho deciso di aggiornare tutte le mie biografie social, specialmente su Instagram e Twitter dove il contesto più informale mi permette di coltivare e relazionarmi con una community che mi riconosce per la mia ironia e il mio posizionamento politico molto chiaro su tematiche come il gender gap e l’integrazione autentica di vita e lavoro. Francesca ha nel DNA tutti questi ruoli – HR Manager, autrice, attivista, mamma, donna – e li porta da oltre dieci anni nella sua avventura imprenditoriale, prima da “soloprenuer”, come consulente e coach, oggi come imprenditrice alla guida del team di Linkbeat Società Benefit, start up innovativa. Con tutte le mie sfaccettature, insieme al mio team e con una community di sostenitori e sostenitrici che condividano con noi la causa, Francesca vuole scardinare le logiche del “si è sempre fatto così” verso uno sviluppo sempre più sostenibile e autentico del capitale umano. Un’impresa da top gun.

Che significato ha per te la parola “sorellanza”?

Si sente dire spesso che le donne odiano le donne, che non sanno collaborare e fare squadra, che la competizione fra donne è necessariamente negativa: nelle mie esperienze di attivismo ho visto e dimostrato il contrario – dal Gruppo Donne di Manager Italia, con cui abbiamo coideato il progetto Un Fiocco in Azienda, al team delle prime firmatarie di Dateci Voce, con cui abbiamo ottenuto un riequilibrio di genere della task force per l’emergenza pandemica, ho sempre fatto parte di gruppi di donne che hanno saputo fare squadra. Questa per me è la sorellanza: riuscire a collaborare nel segno di valori e obiettivi comuni, per un mondo migliore che consideri i punti di vista di tutte e tutti, a ogni livello decisionale. In questo senso, per assurdo, la sorellanza si può vivere anche con un uomo. Non è il genere che determina la sorellanza, ma la scelta di ognuno che decide da che parte stare, con chi stare e come farlo.

Ti ricordi quando e per quale “battaglia” hai iniziato ad essere un’attivista per la parità di genere?

Sin dal liceo mi sono sempre candidata alle cariche di rappresentanza di studenti e studentesse, stando in ascolto ed entrando in empatia con chi aveva bisogni specifici, le ragazze e le donne sono uno di questi gruppi. È stato poi con l’avvio della mia carriera professionale che ho iniziato a “specializzarmi” sulla parità di genere, partecipando come coordinatrice nazionale a progetti di orientamento per il rientro al lavoro delle donne dalla maternità, collaborando con attiviste che – a livello nazionale – hanno fatto la storia delle lotte, prima, e delle leggi, poi, per i diritti delle donne nel mondo del lavoro. Una delle prime azioni che ho intrapreso in azienda come HR Manager è stata proprio l’introduzione, nel 2006, di un bonus per le mamme che rientravano dal congedo di maternità, perché potessero permettersi di investirlo per ricevere un supporto nella gestione dei figli. Nel 2010 con il Gruppo Donne di Manageritalia abbiamo lanciato “Un Fiocco in Azienda”, un progetto rivolto alle aziende per facilitare la comunicazione con i collaboratori e le collaboratrici rispetto ai temi della genitorialità sul piano normativo ed educativo, portando la consapevolezza nelle organizzazioni che la genitorialità fosse un asset strategico. Sono un’attivista at heart, funziono così da sempre.

Quali sono state le risorse (libri, persone) che ti hanno supportato o ispirato nella consapevolezza della parità di genere?

Tutte le donne che ho conosciuto e che fin dai tempi delle contestazioni si sono impegnate per il cambiamento, dalle manager più determinate (incontrate nei contesti professionali) alle donne a capo di realtà associative che lavorano sulla parità di genere, tante donne sono state un esempio per me, ma una menzione speciale va anche alle matriarche della mia famiglia, che mi hanno mostrato il desiderio di rivalsa, la capacità di resilienza: mi hanno comunicato una volontà forte di oltrepassare certe dinamiche patriarcali tossiche. Mia nonna Rosa, in questo senso, è sicuramente stata la mia role model numero uno. Un libro che mi ha ispirata e guidata è stato sicuramente Le trentenni di Marina Piazza, ma in generale anche i miei studi universitari – dall’antropologia culturale alla sociologia delle organizzazioni – mi hanno dato tanta consapevolezza nell’osservazione di questo tipo di fenomeni.

Per tua esperienza, in Italia esiste un reale problema di rappresentazione delle donne da parte dei media o è il modello educativo a essere patriarcale e sessista?

Il problema in Italia c’è, come c’è in buona parte del resto del mondo. Viviamo immerse e immersi in un modello educativo patriarcale di cui i più sono ancora inconsapevoli. Questi bias devono essere resi evidenti e chiari a tutti, perché ciascuno possa cambiare le sue scelte e le sue azioni intenzionalmente. Faccio un esempio: all’interno del Gruppo Mondadori, la divisione di Rizzoli Education, sta facendo un lavoro molto accurato sui bias di genere nei libri di testo, coinvolgendo in una formazione mirata su questi temi dedicata le collaboratrici e i collaboratori diretti e indiretti del Gruppo e gli e le insegnanti coinvolti. Un altro esempio di quanto sia evidente il problema da noi? Provate a consultare, tra uomini e donne, quanti sono i “Dirigenti d’azienda italiani” su Wikipedia, categoria che comprende AD, CEO, board member. Senza toccare il discorso delle quote di genere, già questo esempio ci dimostra quanto sia reale il problema della sottorappresentazione nei media, a partire da una piattaforma come Wikipedia, uno dei siti meglio indicizzati e più consultati nel panorama italiano e internazionale.

Nel tuo percorso da professionista e da attivista, qual è stato il traguardo di cui sei più orgogliosa?

I percorsi di Personal Branding e Life Design che ho ideato e realizzato per le donne sono sicuramente i progetti che più mi fanno brillare gli occhi: le prime ad avere introiettato i bias di genere sono proprio le donne, che tendono a non riconoscere ed esprimere il proprio valore, e quindi a non comunicarlo strategicamente funzione dei propri obiettivi, magari verso possibili aziende e organizzazioni che potrebbero sceglierle. In questo senso WE FOR ME – Design Your Branding Journey è il progetto in cui mi riconosco di più, in cui ho messo a terra principi metodologici come l’edutainment e il community learning per favorire l’empowerment al femminile – in poco più di un anno abbiamo portato a bordo 70 donne, a ottobre partirà la quarta edizione con sempre nuove sorprese. Grazie a WE FOR ME, poi, è nato anche il progetto di brand activism ACT4CHANGE di Activia, che ci vede protagoniste della conversazione sui temi dell’empowerment al femminile tra una azienda avvita tra un’azienda come Danone (Società Benefit e BCorp, che integra l’impatto positivo all’interno del suo business) e la società civile. Questo ci dimostra come le organizzazioni possano portare – tanto verso l’esterno quanto al loro interno – un contributo concreto per le donne.

L’essere donna è stato mai un ostacolo nella tua carriera?

Col senno di poi direi di sì. Quando una multinazionale per cui lavoravo come HR manager mi ha proposto una relocation internazionale mi sono resa conto che la proposta economica non era in linea con la condotta che avrebbero seguito (e che effettivamente seguivano) con uomini nella stessa condizione. In generale, mi fanno comunque arrabbiare molto le donne che – non essendo mai state vittima di discriminazioni – negano che il fenomeno esista: per fare la differenza, bisogna avere la lucidità per guardare il contesto in modo più ampio e oltre la propria esperienza. Nei giorni scorsi leggevo nella biografia di una giovane imprenditrice “non sono femminista, sono femmina” e mi è ribollito il sangue per tanta ignoranza celata in quelle parole.

Ritieni che l’Italia stia cambiando mentalità, riguardo al ruolo della donna in posizioni di vertice, e se sì, in che modo?

La mentalità si cambia se ci sono modelli che mostrano che il cambiamento è possibile – in questo senso, per contribuire al cambiamento culturale, è fondamentale mostrare che ci sono donne competenti adatte a posizioni di vertice. Da questo punto di vista, ci sono aziende virtuose che hanno dato il via a questo cambiamento, e altre che si sono adeguate grazie alle quote. Anche la certificazione volontaria di parità avrà inevitabilmente un ruolo in questo – le aziende hanno bisogno di dimostrare di essere al passo con un cambiamento richiesto tanto dalla società quanto dalle nuove generazioni, che cercano sempre di più aziende che portino con sé un purpose in cui riconoscersi (lo dimostra proprio il fenomeno sempre più tangibile della Great Resignation). Non essere al passo coi tempi nelle politiche di gender equality in un futuro prossimo significherà deteriorare la propria reputazione e, quindi, rinunciare ad attrarre nuovi talenti e occasioni di business.

Mobilitazioni culturali come Dateci Voce o iniziative riformiste come l’introduzione delle quote stanno avendo un ruolo, ma è finito il tempo di iniziative soft: è arrivato il tempo di hackerare il sistema in modo molto più rapido, senza farsi intenerire da soluzioni palliative, che possono invece essere trascese con soluzioni più radicali, interrompendo una sequenza di cattive pratiche, ingiustizie e ineguaglianze, come tante aziende stanno già facendo: agendo concretamente con interventi diretti, ad esempio a partire dall’eliminazione del gender gap. Queste sono le storie che andrebbero anche maggiormente raccontate dai media.

Qual è il messaggio più potente che vorresti arrivasse alle donne che ci leggono?

Il messaggio più potente che ho in mente è un’esortazione: trovate delle comunità di riferimento a cui poter contribuire. Contribuendo, si impara a conoscere in modo più organico anche sé stesse e si permette anche alle altre e agli altri di conoscere il nostro valore, avviando processi virtuosi di condivisione e disegni di nuovi futuri. Sceglietevi i compagni e/o le compagne di viaggio migliori per valorizzare al meglio chi siete veramente. Per dirla con le parole di Brenè Brown, “abbiate il coraggio di far vedere chi siete”: mostrate a tutte e tutti che il cambiamento è possibile, spogliatevi dalla resistenza culturale che le donne non devono dire che cosa sanno fare e quanto sono brave – senza per questo cadere nelle epicizzazioni del maschio medio su LinkedIn. Attenzione, non sto dicendo che basta volere qualcosa per ottenerlo, ma che un approccio progettuale può aiutare ad analizzare il proprio contesto con maggiore lucidità permettendoci di fare dei passi avanti nella direzione del nostro senso di allineamento.

Women X Impact Challenge: indicaci 3 attiviste che secondo te possono essere un modello per la nostra community Women x Impact da taggare e invitare nelle prossime interviste!

Tre attiviste che possano essere un modello per la community! Sicuramente la mia amica Azzurra Rinaldi, che sta rivoluzionando il modo in cui si parla di donne ed economia. Azzurra è docente di Economia Aziendale e direttrice della School of Gender Economics di Unitelma Sapienza, e ha una capacità di fare divulgazione così coinvolgente e incisiva da scardinare i bias più radicati e promuovere in modo potentissimo l’empowerment economico.

Mi viene poi in mente Luisa Quarta, Marketing Director di Bureau van Dijk Italia, che è la responsabile del Gruppo Donne di Manageritalia e partecipa al cambiamento portando la voce delle organizzazioni manageriali. Luisa è capace di portare sui tavoli istituzionali iniziative nate dapprima come progetti sperimentati negli anni sul campo dalle aziende, perché possano arrivare a essere tradotti in proposte di legge.

Infine, voglio stupirvi con un nome maschile, perché la questione di genere non è solo delle donne: il valore delle donne deve essere riconosciuto e difeso da tutte e da tutti. Vi consiglio di seguire Nicola Palmarini: per il suo libro Le infiltrate (EGEA) e per la sua competenza straordinaria sui temi della longevity che – nei confronti delle donne – rischia di diventare una doppia discriminazione, Nicola è un modello per uomini e donne che vogliano fare la differenza.

Grazie Francesca per il tuo contributo alla nostra community Women X Impact!

Alessandra Quaranta

 


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