Benvenuti e benvenute nella rubrica #MeetTheSpeaker, l’occasione giusta per conoscere meglio le professioniste che saliranno sul palco di WomenXImpact il 18, 19 e 20 Novembre 2021 al FICO Eataly Bologna e Online.

Ognuna di loro è una grande professionista e in ogni intervista approfondiremo il suo punto di vista su un’ampia varietà di temi che riguardano la loro expertise.

La speaker di oggi è Giulia Blasi, autrice, formatrice e cintura nera in comunicazione. Con Giulia, abbiamo parlato del suo amore per la scrittura, della sua passione per l’insegnamento e del ruolo dei social nella vita delle donne.

Tutte le interviste sono opera di Roberta Cavaglià, contributor per Wired, Linkiesta e Rivista Studio e fondatrice del progetto di divulgazione Flair.

Inizierei con una domanda un po’ “trabocchetto”: cosa volevi fare da grande, quando eri piccola? E quando sei uscita dall’università?

Sembra una risposta un po’ ovvia, ma da piccola volevo fare la scrittrice. Per un periodo mi vedevo anche come artista, ma finivo sempre per disegnare storie. Alla fine, scrivere era la cosa che mi interessava e ho iniziato a farlo verso i 13, forse 14 anni, e poi non ho mai smesso.

Uscita dall’università, non avevo la più pallida idea di cosa avrei fatto. Per un periodo ho lavorato in un call center, poi in un’azienda, ma continuavo a non avere le idee chiare. Avevo studiato traduzione, ma non volevo fare la traduttrice, quindi ci ho messo molto tempo a capire che in realtà volevo lavorare nel mondo della comunicazione.

La bio del tuo sito recita “scrivo soprattutto libri”: che rapporto hai con la scrittura? Odi et amo, alti e bassi o una passione costante?

Il mio rapporto con la scrittura è organico, nel senso che è il modo che preferisco per mettere ordine nei miei pensieri. È uno strumento che uso soprattutto per chiarire i concetti a me stessa. Non so dirti se sia semplicemente un rapporto di amore o se faccia davvero parte di me, del funzionamento del mio cervello: se non scrivo, sento che mi manca qualcosa.

Prima content editor, poi account manager e digital PR: come hai visto evolvere i social a livello professionale? Come hai vissuto la loro evoluzione “dall’interno” e soprattutto, da una prospettiva femminile?

Quando sono arrivata sui social, in realtà non c’erano ancora i social, ma c’erano i blog. Ho visto subito in nuce quello che sarebbero diventati poi: community con delle enormi potenzialità in termini di comunicazione, ma con un lato oscuro che riguardava il discorso d’odio e la strumentalizzazione dell’anonimato, soprattutto nel caso delle donne.

Dal mio punto di vista, i social sono stati (e sono tuttora) un grande veicolo di espressione professionale e per le donne sono stati fondamentali per uscire non solo dalla disoccupazione, ma anche dall’isolamento. Con  i blog prima, e poi con i social, molte donne sono diventate lavoratrici autonome, alcune inventandosi un professione, come le foodblogger, ad esempio.

Il lato negativo, però, che dobbiamo affrontare come collettività è il ruolo che i social hanno nella formazione e nella gestione del dibattito pubblico, nonché nella comunicazione istituzionale. Penso, ad esempio, all’uso che Trump ha fatto dei social, che ne ha evidenziato varie criticità.

Un altro aspetto da tenere in conto è l’impatto che ha la misoginia online sulle donne, un impatto che spesso viene sottovalutato da molti e molte. Internet dovrebbe essere uno spazio libero per tutti e per tutte, ma spesso finisce per essere limitato perché si fa molta fatica, ancora oggi, ad accettare il fatto che le donne abbiano una voce e che possano usarla per esprimere le loro opinioni.

Dal 2017, hai iniziato anche a insegnare con regolarità: qual è il tuo metodo? Come ti trovi con studenti e studentesse?

A me piace moltissimo insegnare perché apprezzo molto il rapporto che si crea con gli studenti e le studentesse. Mi occupo di discipline che hanno molto a che fare con la nostra visione del mondo, sia online che offline, e questo mi permette di fare lezioni in maniera coinvolgente, stimolando l’interazione attraverso domande, opinioni, critiche. Ascolto molto i giovani e credo che questo in fondo faccia parte del mio metodo: cerco di capire il loro tasso di interesse verso i vari argomenti, li stimolo e limito le distrazioni. Sono tendenzialmente una docente con la quale si riesce a stabilire un rapporto perché sono una persona empatica, e questa caratteristica si riflette nel modo in cui insegno.

Cosa diresti alla te di dieci, venti anni fa, e alla te del 2031?

Alla me di fine anni Novanta, direi: “tranquilla, che andrà tutto bene. Le difficoltà di superano, non sei tu che sei sbagliata, devi solo tenere duro”. L’idea di non farsi sconfiggere dall’immediato è quello che cerco di ripetermi sempre e che provo a trasmettere anche a tutte le persone giovani che incontro.

La vera domanda, però,  secondo me dovrebbe essere: cosa direbbe la me del 2031 alla Giulia del 2021?

Raccontaci perché hai accettato di partecipare a WomenX Impact e perchè, secondo te, altre persone dovrebbero farlo.

Onestamente non vedo l’ora di tornare a fare incontri, scambiare idee, che è una cosa che mi manca molto. Mi manca la sensazione di vicinanza con gli altri esseri umani, l’interazione con il pubblico, con gli altri relatori e relatrici, e credo di non essere la sola.

Inoltre, credo che, siccome siamo degli esseri umani con dei vissuti differenti, non ha senso né a livello pratico, né strategico, escludere a priori le donne dal discorso pubblico. Credo che le donne si debbano prendersi il loro spazio, non chiederlo, e farlo in ogni modo possibile. Senza avere paura di sbagliare, perché sbagliare è fisiologico, è necessario, è umano. Siamo esseri umani, non siamo una parte di un tutto indistinguibile in quanto “donne” e abbiamo diritto di andare là fuori e dire la nostra. A questo punto, direi che abbiamo davvero il dovere di farlo, soprattutto noi più grandi: dobbiamo occupare tutto lo spazio possibile.

 


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